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ARTICOLI SULLE DIPENDENZE

-Di gruppo in gruppo: l'esperienza dei gruppi di auto mutuo aiuto

-Le dipendenze patologiche

-La terapia familiare nelle tossicodipendenze: quale modello utilizzare in un contesto pubblico. SerT A.S.L. 4 Chiavarese 

-I gruppi di auto aiuto: invio, facilitazione e sostegno al programma dei "12 Passi"; il ruolo del professionista

-Il trattamento della tossicodipendenza: l'esperienza del CENTRO IMAGO di Torino

-I paradossi della droga: una indagine psico-antropologica

-Gli abusi di sostanze

-Cocaina…e sai cosa è meglio perdere!

-Dal vecchio bacco al nuovo etilismo

 

 

 

 

Metodi e obiettivi nella psicoterapia delle dipendenze patologiche

 

Seguire in terapia individuale persone che presentano un quadro di dipendenza (da sostanze, alcool, cibo, gioco d’azzardo ecc.) non è impresa facile. Ho cercato di sintetizzare alcune delle cose che secondo la mia esperienza ha sensoprovare a fare. Non si tratta di un manuale di psicoterapia né di una “bibbia” da seguire, ma solo di ciò che è emerso dalla mia formazione e dalla mia esperienza clinica.

 

E’ utile cominciare con una attenta valutazione del singolo caso:

Þ  tipo di richiesta (Servizio pubblico, famiglia, individuo, altri)

Þ  tipo di dipendenza (alcoolismo, tossicodipendenza, cibo, sesso, gioco d’azzardo…)

Þ  raccolta cartella clinica (dati personali, trattamenti precedenti)

Þ  assessment psicologico clinico globale

Þ  valutazione della disponibilità al cambiamento: colloquio motivazionale, questionari motivazionali (Miller & Rollnick)

Þ  valutazione dello stadio attuale della dipendenza. (scale tipo Jellinek)

Þ  pianificazione personalizzata di un progetto di cambiamento (eventuale necessità di detox, livello di accettazione di un programma drug-free, livello di accettazione dell’auto aiuto, eventuale coinvolgimento di altre persone significative, problematiche socio-sanitarie, altro).

Þ  introduzione del programma del trattamento e contratto terapeutico.

            Ecco alcuni degli obiettivi su cui è possibile lavorare:

 

1) Aumentare nel cliente l’accettazione della responsabilità per il cambiamento del suo comportamento

 

            I risultati dell’assessment vengono direttamente utilizzati come feedback. Questo offre al cliente l’opportunità di sviluppare la consapevolezza del proprio problema, rivalutando sé stesso attraverso le informazioni che egli stesso ci ha fornito. Il lavoro procede con la stesura individuale della storia della dipendenza, che aiuta ad identificare la progressione, i fenomeni di tolleranza e di perdita di controllo (incapacità di astenersi o di pianificare e controllare i comportamenti relativi al campo di dipendenza), e le conseguenze negative della dipendenza, su diversi livelli: conseguenze fisiche, legali,sociali, sessuali, psicologiche, finanziarie.

 

            Ai clienti viene proposto un questionario relativo al primo dei 12 Passi che dice:

 

“Noi abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte a ________

e che le nostre vite erano divenute ingovernabili”

 

            Si tratta di una serie di domande aperte, in cui il cliente viene invitato a riportare esempi specifici di ciò che è avvenuto durante la dipendenza, di come si comportava, di quali sono stati i costi e le conseguenze del suo comportamento. Il cliente ha la possibilità di valutare i tentativi di controllarsi o limitarsi, e le pressioni sociali a cui si è sottoposto per mantenere invariato il suo comportamento.

 

Il questionario viene letto personalmente dal cliente assieme al counselor, lasciando ampio spazio agli aspetti emotivi. Ciò sostiene e rinforza il riconoscimento e il superamento della negazione, oltre a suscitare un buon livello di attivazione emotiva che facilita la rivalutazione di sé. In termini di modello motivazionale questo permette di verificare come rispetto ad uno stadio di contemplazione ci si trovi adesso in uno stadio di determinazione al cambiamento.

2) Aumentare la fiducia nella possibilità di un cambiamento.

 

Dopo avere raggiunto la sobrietà definita si lavora su questionari elaborati per approfondire i concetti espressi nel secondo e nel terzo passo:

 

“Noi siamo giunti a credere che un Potere più grande di noi stessi

avrebbe potuto riportarci alla ragione.”

“Noi abbiamo preso la decisione di affidare la nostra volontà e la nostra vita

alla cura di Dio, come noi abbiamo potuto concepirlo.”

 

            Lo scopo di questi questionari è aiutare il cliente ad individuare e riconoscere l’assenza di lucidità e chiarezza di giudizio associata alla dipendenza, e la perdita o l’allontanamento dalla dimensione cosiddetta “spirituale”, descritta come l’aspetto interiore della persona, i gusti e le caratteristiche che rendono ciascun individuo un elemento unico ed irripetibile.

            Attraverso una serie di 6 brevi questionari (3-4 domande ciascuno) elaborati da Miller & Rollnick, adattati in italiano con il permesso degli autori, aiutiamo il cliente a fare un bilancio tra gli aspetti positivi e negativi del comportamento dipendente e del recupero, esplorando gli obiettivi possibili e pianificando un cambiamento personalizzato e realistico.

Contemporaneamente si cerca di individuare una rete significativa di relazioni di aiuto che possano agevolare e sostenere il cambiamento desiderato. In termini motivazionali, questo corrisponde al passaggio da uno stadio dideterminazione allo stadio dell’azione vera e propria.

            In questa fase cominciano ad essere utilizzate anche le tecniche della Terapia Razionale Emotiva di Albert Ellis, per individuare, discriminare e discutere le convinzioni irrazionali relative alla dipendenza e al recupero.

            Lavorando sulle idee irrazionali (“è insopportabile, intollerabile, impossibile, inutile, ecc.) si ottiene un significativo aumento della fiducia nei clienti rispetto alle loro possibilità di cambiare, e si osserva una diminuzione delle aspettative di catastrofe e dei pensieri di doverizzazione e demonizzazione.

 

3) Ridurre la negazione dei problemi correlati alla dipendenza, aumentare la conoscenza di questi problemi, aiutare il cliente ad accettare la dipendenza come malattia

 

            Anche questo è un risultato diretto della applicazione di tecniche RET, partendo dalla considerazione di eventi reali della vita dei clienti, così come essi li riportano. Inoltre viene utilizzato materiale scritto (libri, dispense, traduzioni) riguardante gli effetti e i danni causati dalle dipendenze. Le discussioni suscitate da questo materiale permettono di evidenziare le resistenze, che vengono “assecondate” secondo il modello motivazionale.

Ciò significa che riluttanza e ambivalenza non sono viste come “opposizione”, ma sono riconosciute come aspetti naturali e comprensibili.

Il cliente viene coinvolto attivamente in un processo di problem solving, senza subire l’imposizione di obbiettivi o soluzioni.

 

4) Facilitare una esperienza spirituale nel recupero e facilitare l’impegno a frequentare le riunioni dei gruppi di auto aiuto (AA, NA, OA, CoDA, FA, Al-Anon), trovare uno sponsor e lavorare i 12 Passi. Identificarsi con le persone in recupero.

 

            Pur non rappresentando in alcun modo nessuna delle associazioni che utilizzano i 12 Passi, e senza mai parlare ufficialmente a nome di queste associazioni riteniamo che i gruppi di auto aiuto costituiscano una valida risorsa sul territorio, e possano offrire ai nostri clienti la possibilità di strutturare a lungo termine il loro recupero personale. La nostra posizione è ben rispecchiata da un articolo di W. R. Miller e E Kurtz comparso sul Journal of studies on alcohol del Marzo 1994.

            Per aiutare i clienti a rendersi attivi nelle associazioni di auto aiuto facciamo riferimento ai principi della Twelve Step Facilitation Therapy, come descritta nel manuale del progetto MATCH del National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism (NIAAA), di cui abbiamo curato la traduzione italiana.

 

5) Preparare il cliente ad affrontare la ricaduta e a smettere di porre in atto quei comportamenti che rinforzano positivamente la dipendenza

 

            Nel trattamento delle dipendenze la ricaduta è un fenomeno che non può essere ignorato o trascurato.

            Il programma di trattamento è impostato sulla completa e totale astinenza da tutte le sostanze psicoattive, incluso l’alcool. Di conseguenza l’uso di una qualsiasi sostanza è considerato una ricaduta. Per le altre dipendenze una parte del lavoro consiste nel definire la sobrietà in ciascun caso.

            La ricaduta viene presentata come un fenomeno cognitivo e comportamentale, esito di un processo progressivo legato ad alcuni meccanismi, introdotti e discussi nel trattamento (Bassa Tolleranza alla Frustrazione, Decisioni Apparentemente Irrilevanti e Effetto di Violazione dell’Astinenza, Cummings, Gordon & Marlatt, 1980).

            Attraverso le tecniche RET cerchiamo di facilitare il riconoscimento degli eventi attivanti, anche attraverso tecniche immaginative (Rational Emotive Imagery), e di fornire adeguate strategie di coping per tali situazioni.

            Il modello motivazionale suggerisce di aiutare il cliente a scoprire da solo come e perché può cambiare, e le tecniche RET aiutano a restare centrati su scopi realistici e raggiungibili.

 

6) Aiutare il cliente a comprendere che la maggior parte dei problemi sociali e personali possono essere attribuiti alla dipendenza; il recupero è un processo che dura tutta la vita e richiede l’aiuto degli altri

 

            Noi pensiamo che sia utile rimanere centrati sulla dipendenza come problema primario. Il trattamento è breve, ma l’obbiettivo è porre le basi per un recupero a lungo termine. Eventuali altri problemi potranno essere affrontati dopo avere raggiunto una sobrietà stabile e sicura. Incoraggiamo i nostri clienti a cercare l’aiuto di altri professionisti per problemi diversi dalla dipendenza: problemi legali, finanziari, familiari, sociali, di emancipazione e crescita personale. Tali questioni non sono l’obbiettivo del trattamento, ma possono essere risolte, quando presenti, solo dopo che si è intervenuti sulla progressione della dipendenza.

 

7) Promuovere e sostenere l’assunzione di responsabilità personale nel mantenimento del recupero

 

            Durante il trattamento il concetto di responsabilità è inteso come la facoltà di soddisfare i propri bisogni in modo tale da non privare gli altri della libertà di soddisfare i loro bisogni personali.

            Noi non riteniamo i clienti completamente responsabili del loro passato, ma pensiamo che possano diventare membri accettabili e responsabili di questa società attraverso l’impegno nel recupero personale e sociale. Il lavoro specifico per l’elaborazione di questi obbiettivi di autovalutazione e acquisizione di responsabilità personale viene sviluppato attraverso il quarto dei Dodici Passi:

 

“Noi abbiamo fatto un inventario morale profondo e coraggioso di noi stessi”

 

            Per aiutare i clienti ad affrontare questo Passo e ad intuire l’esatta natura dell’ “inventario morale”, proponiamo un questionario strutturato su diversi livelli, che attraverso domande aperte e richieste di esempi specifici permette di valutare nell’ordine:

 


1.    il disagio

2.    la rabbia

3.    la paura

4.    la vergogna

5.    la tristezza

6.    la solitudine e l’isolamento


 

            La riflessione sul Quarto Passo e sugli esempi specifici riportati dal cliente permette di affrontare:

 


1.    Bisogni fondamentali

2.    Emozioni

3.    Comunicazione e relazioni familiari

4.    Relazioni con l’autorità

5.    Responsabilità e processi decisionali

6.    Aspirazioni lavorative

7.    Compulsioni sessuali

8.    Nutrizione

9.    Rilassamento, stress e ricaduta

10.Resistenza al cambiamento

11.Affermazione di sé

12.Relazione con il denaro e gestione delle finanze personali


 

            In questa fase del lavoro si entra in contatto con gli aspetti profondi della personalità, con quelli che gli AA chiamano “difetti di carattere”, sovrapponibili alle idee irrazionali di Ellis o agli schemi disfunzionali di Beck. Da un punto di vista umano, significa affrontare i meccanismi e gli automatismi appresi, riconoscere le difficoltà, i blocchi e gli ostacoli, e individuare le risorse realmente presenti e utilizzabili.

            Al termine di questo lavoro, che si concretizza con la condivisione dell’inventario (Quinto Passo: “Noi abbiamo ammesso davanti a Dio, a noi stessi e ad un altro essere umano la natura esatta dei nostri torti”), l’individuo si trova ad avere realizzato un piano responsabile per il proprio recupero personale, e dovrebbe essere in grado di proseguire la sua crescita con l’appoggio dei gruppi di auto aiuto. Ciò si può verificare anche prima, ed è fondamentale che il terapeuta non pretenda di guidare il cliente nel Quarto Passo se egli non lo desidera. Il ruolo del terapeuta è quello di aiutare il cliente a trovare uno sponsor, non sostituirsi ad esso. Se il cliente è attivo in una fratellanza dei 12 Passi e mantiene la sobrietà definita, la relazione terapeutica non ha motivo di prolungarsi. Se il cliente lo desidera, è possibile approfondire il lavoro, centrandosi sugli aspetti emotivi, psicologici e spirituali, mantenendo una seduta settimanale o quindicinale di revisione per alcuni mesi.

                                                                                    

                                                                                            (Carlo Fornesi)

 

 

 

 

 

 

 

 

LA TERAPIA FAMILIARE NELLE TOSSICODIPENDENZE: QUALE MODELLO UTILIZZARE IN UN CONTESTO PUBBLICO. SERT A.S.L. 4 CHIAVARESE

 

Dott. Giannino Ulivi,  Responsabile “Centro di Consulenza e Terapia Familiare”   Sert A.S.L. 4  Chiavarese

Dott. Corrado Barbara, Psicologa volontaria Sert A.S.L. 4  Chiavarese

 

Sommario

La popolazione di soggetti con problemi di abuso di sostanze che si rivolgono ad un servizio pubblico è molto varia per storia, tentativi di risoluzione precedenti,  livello motivazionale e risorse del contesto attivabili. Inoltre spesso chi chiede aiuto è diverso da chi lo necessita e i bisogni presentati sono diversi a seconda del livello motivazionale presentato. Un Centro di Consulenza e Terapia Familiare di un  SerT. deve quindi impostare un lavoro flessibile, attento alla domanda presentata e alla sua modificazione e integrato con le altre attività del servizio e avendo come riferimento quanto, da un punto di vista teorico, oggi la terapia familiare mette a disposizione. Il lavoro presentato è la modalità operativa del nostro Centro di Consulenza e terapia Familiare inserito presso il nostro SerT. e  attivo da circa un anno.

 

Summary

The population of subjects substance abusers  that address to a public service is very varied for history, attempts of resolution precedents, motivational level and facilities of the context. Additionally often who asks help  is different from who  necessitates it and the presented needs are different according to the motivational presented level. A Center of Consulence and Family Therapy of a SerT. is obligates to plan  a flexible work, attentive to the presented question and to his modification and integrate with the other activity of the service and having like reference as, from a point of theorist view, today the family therapy puts to disposition. The presented work is the operational formality of our Center of Consulence and Family therapy inserted by our SerT. active now from around a  year.

 

 

Résumé

La  population des toxicomanes  qui s’adressent au service public de toxicomanie est beaucoup differénte pour histoire, tentatives de rèsolution  précédents, niveau  de motivation et  ressources du contexte. En outre souvent qui appele à l’aide  est differént  du patient et les besoins presentés sont differents d’àpres du niveau de motivation présentè. Un Centre de Consultation et de Thérapie Familier de un Service public des toxicomanies doit donc organiser un travail flexible, attentif à la question présentè et a la sa modification et compléte par les autres activitès du service et avoint comme référence combien, de  un point  de vue théorique , aujourd’hui la thérapie familier propose. La publication présenté est la modalité de fonctionnement du notre Centre de Consultation et de Thérapie familier inseriré chez  notre Service des toxicomanies qui est activé à peu près de une annéè.

 

INTRODUZIONE

 

Il movimento di terapia familiare, nel vasto universo degli orientamenti terapeutici, ha avuto una sua precisazione sempre più documentata riguardo a quei fenomeni di sofferenza che interessano giovani figli in quella fase delicata dell’individuazione e autonomizzazione dalla famiglia di origine che chiamiamo adolescenza ( Gurman e Kniskern, 1978 ).   Tali situazioni sono frequenti, secondo la lettura sistemica, sia in chi presenta esordi nevrotici o psicotici o disturbi alimentari di tipo anoressico o bulimico o inizia il consumo di sostanze stupefacenti ( Todd e Selekman, 1991).   I modelli  di terapia familiare sono ormai numerosi e si prefiggono obiettivi diversi :

a.       I cultori della terapia breve del M.R.I. si prefiggono la risoluzione del sintomo

b.       I terapeuti trigenerazionali o contestuali, pensano di dover approfondire la storia e i vissuti della famiglia,

c.       Gli operatori orientati in termini  strategico-strutturale  ritengono importante mutare le regole che governano la famiglia

d.       I sistemici puri, ragionano in termini “ costruttivi” e pensano  utile e necessario, attraverso un corretto uso del linguaggio, lavorare sull’area dei significati, oltre che sui pregiudizi del terapeuta, della famiglia e del contesto allargato ( Cecchin G, Lane G., Roy A., 1994 ).

Nonostante questa grande messe di contributi ormai verificati con ricerche sui processi e sui risultati, continua ad essere predominante una lettura moralistica e individuale del problema tossicodipendenza ( o alcooldipendenza) con conseguente proposta di intervento  prevalentemente  “da stigmatizzare socialmente o medicalizzare”.   Tutti gli studi sui risultati dei trattamenti con pazienti tossicodipendenti hanno dimostrato l’utilità di un trattamento integrato dove l’intervento farmacologico viene affiancato con una presa in carico della storia del cliente e del  contesto familiare.   La ricerca recente ha rivelato che i trattamenti e interventi sistemici sulla droga sono efficaci nel far uscire dal consumo i pazienti e soprattutto nel mantenerli in trattamento. L’indice di ritenzione in trattamento, vale a dire la percentuale di pazienti incontrati che persistono ad essere seguiti dal servizio nel tempo, è l’indice più altamente correlato col buon esito.  Inoltre, i pazienti trattati soltanto individualmente o in mantenimento metadonico o in psicoterapia o in una esperienza comunitaria, se il loro sistema familiare non cambia, hanno alte probabilità di riassumere gli stessi ruoli che precedentemente hanno favorito l’instaurarsi della tossicodipendenza.   Vi sono ancora troppi casi in cui i  trattamenti sono limitati al paziente, senza una lettura sistemica della tossicodipendenza con conseguente presa in carico della storia familiare.   Da ciò consegue che il cambiamento di un  solo elemento del sistema, il tossicodipendente,  avviene spesso in superficie come decondizionamento dal sintomo .   Tale modificazione, però,  non è sempre sufficiente a mettere in crisi i  vecchi equilibri  che hanno creato  quella sofferenza che ha consentito alla droga di assumere un significato fortemente anestetico. ( Lewis R., Piercy F., Sprenkle D., Treppert., 1991).   Le stesse ricerche hanno ipotizzato che l’abuso di droga può servire a mantenere insieme i genitori o a raggiungere l’obiettivo di far interrompere un litigio tra loro, oppure a rimandare nel tempo la fase dolorosa e delicata dell’autonomizzazione e dell’ individuazione adolescenziale. Allo stato delle conoscenze attuali esistono quattro ben definite terapie familiari con importanti fondamenti sperimentali nel campo delle tossicodipendenze  che sono :la terapia strutturale, strategica, funzionale e comportamentale.  ( Cirillo S., Berrini r., CambiasoG., Mazza R., 1996 )   Esistono però evidenze cliniche che testimoniano che i tradizionali interventi strategico-strutturali e comportamentali sono insufficienti qualora esistano serie difficoltà coniugali con comportamenti devianti dei figli ( Karoly e Rosenthal, 1977).  Tali interventi infatti si limitano a realizzare modifiche che non toccano la profondità dei significati e a dare senso ad avvenimenti storici come invece permettono il modello trigenerazionale, quello sistemico-cibernetico di M.White, il modello sistemico-costruttivista di Milano e l’approccio del “Reflecting team” (Cirillo S., Berrini r., CambiasoG., Mazza R., 1996; Todd C., Selekman M., 1991; Parry A., Doan E.R., 1994).

 

MODELLO DI INTERVENTO

 

In merito all’efficacia degli interventi di terapia familiare  si è passati da un tentativo di confrontare i diversi modelli ,all’interesse di sapere non tanto “ quale terapia è migliore delle altre” in assoluto, ma piuttosto alla ricerca di modelli terapeutici più adatti e utili per un certo contesto familiare  in rapporto al suo stato motivazionale.   L’integrazione del modello sistemico con quello motivazionale che crea differenze in base al modo con cui la famiglia e il paziente designato si posizionano in  merito al problema della tossicodipendenza,  appare una variabile importante, specie in un contesto pubblico, per definire quali modelli di intervento possono essere appropriati   ( Ulivi G., 1996).   L’intento del nostro lavoro clinico è anche una ricerca-intervento al fine di individuare quale tipo di modello è più appropriato, non solo in base alle risorse della famiglia, ma anche in base alle problematiche diverse che si pongono a seconda del problema presentato.   La nostra ipotesi di partenza è che gli interventi strutturali strategici, per esempio, siano utili per un rapido controllo del sintomo, mentre gli interventi sistemico-costruttivisti siano più adeguati in caso di ricadute  o in storie cronicizzate ,mentre  un lavoro trigenerazionale sia più utile per elaborare una sofferenza su cui si può innestare un processo di ricaduta.   I nostri assunti di base li possiamo elencare così :

1.      Accento posto sul presente e sul futuro oltre che al passato.

In una fase iniziale di ingaggio della famiglia, il controllo del sintomo assume un significato importante al fine di costruire un’ alleanza terapeutica che consenta ,in un secondo tempo, di intervenire sulla storia familiare e arrivare pertanto  alle radici della sofferenza. Gli orientamenti che leggono i giochi familiari  e quelli che ipotizzano scenari futuri sono più utili per creare una motivazione del contesto.

2.      Scarsa importanza attribuita all ’ insight ; si ricorre invece a una ristrutturazione positiva

Anche questo assunto è importante per l’aggancio e le prime sedute. La ristrutturazione positiva consiste nel dare valore al sintomo e connotare positivamente il contesto come risorsa.

3.      Il miglioramento deriva da mutamenti interpersonali

La scomparsa del sintomo è breve e non definitiva se non si accompagna a mutamenti nel relazionarsi e percepirsi dei componenti del sistema familiare.

4.      I piccoli cambiamenti sono positivi

Nel procedere nel trattamento è importante enfatizzare i segnali di cambiamento anche se piccoli  e gli ostacoli che vi si frappongono anche pregiudiziali.

5.      Sfruttare le risorse familiari

La famiglia è una risorsa, ogni presenza è importante per la raccolta di informazioni e per l’intervento che è mirato non solo sul paziente designato.

6.      Sfruttare ciò che pragmaticamente dimostra di funzionare

E’ importante analizzare precedenti tentativi di soluzione al fine di non percorrere strade già provate e inconcludenti, ogni storia ha un suo percorso che va costruito insieme alla famiglia e all’équipe di supervisione sapendo cogliere i risultati pratici di certi interventi non sottovalutando la creatività della famiglia.

7.      Diminuire la complessità; sbrogliare la rete di figure assistenziali

Spesso esiste una confusione tra l’inviante, il comittente e il cliente. Talvolta al servizio pubblico viene chiesta una funzione di controllo che rischia, se non riconosciuta e tenuta in considerazione, di invalidare od ostacolare il trattamento. Diversi servizi spesso lavorano sullo stesso caso, S.S.M., consultorio, Sert con compiti e obiettivi diversi. E’ importante quindi ripetutamente ridefinire le aspettative del cliente e della sua famiglia : compito cui deve assolvere la terapia familiare al fine di tener chiari e distinti i diversi livelli in cui si opera.

8.      La terapia è relativamente a breve termine

La durata di un  intervento è in media di dieci, dodici sedute  a cadenza mensile. La risoluzione del sintomo non determina la cessazione dell’intervento: occorre anzi continuare a seguire nel tempo la famiglia con sedute bi o trimestrali per mantenere in trattamento il caso e per stabilizzare i cambiamenti avvenuti.

9.      Il terapeuta gioca un  ruolo attivo

Si intende per ”terapeuta “ tutta l’équipe che segue il caso e per “attività “ il terapeuta che,con il suo stile particolare, conduce le sedute avendo in testa un progetto o ipotesi che fa da traccia o matrice all’intervento. L’attività è più facilmente mantenuta con l’utilizzo dello specchio unidirezionale e la supervisione diretta da parte di altri operatori.

10.  Ogni soluzione è specifica per ciascuna famiglia

Intendiamo dire con questo che ogni percorso terapeutico costruisce una storia singolare e unica che richiede la capacità di non fossilizzarsi dietro ad un’unica  teoria ,ma la flessibilità di usare quanto oggi abbiamo a disposizione che sia utile in quel momento specifico per quella particolare famiglia.   Riteniamo che tale approccio possa essere sufficiente come protocollo di base per la generalità delle famiglie  (senza una lunga storia di trattamenti falliti )che si presentano al nostro SerT, in quanto estremamente pragmatico, orientato al sintomo e in grado di attivare le risorse presenti piuttosto che indugiare sulla patologia con effetti di riduzione del rischio di cronicizzazione.   Appare quindi il trattamento di elezione per i nuovi casi e per le situazioni in cui un adolescente consuma non solo eroina,  ma anche le cosiddette “nuove droghe” tipo ecstasi e stimolanti dai minori ( cannabis) ai maggiori ( cocaina).   Per le storie più compromesse e con numerosi fallimenti e conseguente cronicizzazione (che sono quelle più numerose e che appesantiscono i servizi pubblici )appaiono più indicati trattamenti di tipo sistemico- costruttivista e di tipo trigenerazionale.   La popolazione che afferisce ad un servizio pubblico che può avvalersi di una consulenza o una terapia familiare è estremamente variegata e richiede quindi un intervento diversificato e il più adeguato possibile a seconda della storia, dei tentativi di risoluzione precedentemente intrapresi, delle risorse familiari e della ,motivazione del paziente e della famiglia a mettersi in gioco.   In linea di massima ipotizziamo di poter distinguere i seguenti sottogruppi:

·       Nuovi accessi col problema della cessazione del sintomo

·       Storie cronicizzate in trattamento col metadone

·       Storie che presentano una ricaduta dopo un periodo discreto di drug- free

·       Storie, che superato il sintomo ,presentano problematiche relazionali e di reinserimento sociale

·       Storie con adolescenti non ancora tossicodipendenti ma con comportamenti a rischio ( abbandono scolastico, fughe da casa, utilizzo occasionale di droghe minori, storie di abuso sessuale o violenze)

·       Coppie di genitori tossicodipendenti

E’ nostra convinzione che  il lavoro avviato col contesto del paziente, sia utile se non è avulso da quanto effettuato da altri operatori o servizi, in quanto è una risorsa in più (diagnostica e di intervento) da offrire a tutti ,sia operatori che membri significativi della famiglia  ,che circondano il paziente secondo una visione sistemica del problema che crea il  sistema. (Goolishian.H,Anderson H., Winderman L,1986)

 

STRUMENTI E RISORSE UTILIZZATE

 

Il suddetto lavoro di ricerca -intervento si svolge presso la sede del SerT  A.S.L. 4 Chiavarese di Sestri Levante ,dotata di Centro di Consulenza e Terapia Familiare con specchio unidirezionale e possibilità di videoregistrazione. L’équipe è formata dallo scrivente in qualità di responsabile e da una équipe di psicologi e psicoterapeuti tra cui alcuni tirocinanti della Scuola del Centro di Terapia della Famiglia di Milano di Boscolo L. e Cecchin G. e una volontaria con formazione presso “ Il Nuovo Centro di Terapia della Famiglia” di Mara Selvini  Palazzoli

 

CONCLUSIONI

 

Considerata la  variegata popolazione ( per problematiche, motivazioni e risorse presentate)  che si rivolge ad un servizio pubblico, ci sembra necessario che il primo compito di una équipe di intervento familiare sia valutare le modalità più appropriate di attivazione delle risorse familiari e di aggancio  terapeutico del paziente e del suo contesto  ( Ray A.W., KeeneY B., 1993).

E’ anche importante riuscire a costruire un modello di intervento che permetta di definire quali tecniche di conduzione delle sedute siano più adeguate alle diverse storie familiari, ai precedenti tentativi di risoluzione e al ciclo vitale della famiglia : ciò servirebbe ad  evitare la cronicizzazione del problema e a superare il clima di rassegnazione e di sconfitta che le storie con numerosi precedenti fallimenti ingenera nei pazienti e nei terapeuti stessi. .

 

BIBLIOGRAFIA

 

1.    Cecchin G., Lane G., ray A., The cybernetics of prejudices in the practice of psychotherapy,   Karnac Books, London 1994

2.    Cirillo S., Berrini R., Cambiaso G., Mazza R., La famiglia del tossicodipendente, Raffaello Cortina editore, Milano 1996

3.    Goolishian H., Anderson H., Winderman L., Problem determined  System: Trasformations in family therapy, in Journal of strategic and systemic therapies, Family  Process,5, 1986

4.    Gurman A.S., Kniskern D.P., Research on marital and family Therapy Progress, Perspective and prospect  in Garfield e Bergin  Handbook of psychotherapy and behavior Change: an Empirical Analysis, Wiley, New-York, 1978

5.    Karoly P., Rosenthal M., Training Parents in Behavior Modification Effects on Perceptions of Family Interaction and Deviant Child Behavior, Behav. Ther. Vol 8, 406-410, 1977

6.    Lewis R. ,Piercy F., Spenkle D., Trepper T., The Purdue Brief Family Therapy Model for Adolescent Substance Abusers in Todd ,C.T. e Selekman M.D.Family Therapy Approaches with Adolescent substance abusers ,Allyn and Bacon,Boston, 1991

7.    Parry A. ,Doan R. E.” Story re-visions, narrative therapy in postmodern world”, The Guildford Press,London,1994

8.    Ray A .,Keeney B.,” Resource focoused therapy” ,Karnac Books, London 1993

9.    Todd C. T. ,Selekman M. D. ,“Family Therapy Approches with Adolescent substance abusers”. Allyn and Bacon, Boston 1991

10. Todd C.T., Selekman M.D., “Beyond structural –strategic family therapy” in Todd and Selekman Family Therapy Approaches with Adolescent Substance Abusers, Allyn and Bacon, Boston 1991

11. Ulivi G., Approccio motivazionale, modello sistemico-costruttivista: due riferimenti per un lavoro integrato sul tossicodipendente e la sua famiglia, Personalità/dipendenze, Vol 2, Fasc. 1, 1996

 

 

 

 

 

 

I gruppi di auto aiuto: invio, facilitazione e sostegno al programma dei “12 Passi”;

il ruolo del professionista.

 

Carlo Fornesi, Psicologo Psicoterapeuta,

Introduzione

 

                In questo lavoro non farò riferimento a tutte le organizzazioni ed associazioni di auto aiuto presenti sul territorio, ma centrerò l’attenzione su Alcoolisti Anonimi, una fratellanza che affronta il problema dell’alcoolismo nel mondo dal 1935 (Alcoholics Anonymous, 1976).

                E’ importante che i professionisti che si occupano del trattamento dell’alcoolismo e svolgono ricerche su questo problema abbiano una chiara ed accurata comprensione della natura e dei principi di Alcoolisti Anonimi. Io non parlo a nome di Alcoolisti Anonimi e non la rappresento in alcun modo. Queste riflessioni sono basate sulla letteratura scientifica disponibile sull’argomento e sulla letteratura di Alcoolisti Anonimi stessa, oltre che sull’esperienza pratica della Associazione Arcadia di Genova (Filippis & Fornesi, 1996), che da anni si occupa di dipendenze secondo un approccio basato anche sui 12 Passi. Ringrazio Arcadia per tutto ciò che mi ha permesso di imparare e per le risorse umane e bibliografiche che ha messo a mia disposizione.

 

La valutazione

 

                Quando una persona ritiene di avere un problema con l’alcool e decide di rivolgersi ad un servizio pubblico hasempre delle aspettative. Come prima cosa è importante conoscere e valutare tali aspettative, che possono essere la terapia farmacologica, la psicoterapia, i “miracoli” e soprattutto il fallimento. Il compito dello psicologo è di approfondire e discriminare le idee (razionali e irrazionali) che sostengono tali aspettative, (Ellis, 1989) aiutando il cliente ad identificare 1) se esiste un problema con l’alcool; e 2) se è quello il problema che il cliente vuole affrontare.

                E’ essenziale che questa procedura di valutazione venga svolta con cura in ogni caso, perché è quella che sostiene in maniera diretta la motivazione del cliente. In questo senso sono molto utili le tecniche del colloquio motivazionale (Motivational Interviewing) descritte da Miller & Rollnick (1991).

                Anche Bill Wilson, co-fondatore degli Alcoolisti Anonimi, ha dato chiare indicazioni rispetto al “lavorare con gli altri” (Alcoholics Anonymous, 1976, cap. 7): “Se non vuole smettere di bere, non cercate di convincerlo. Potreste non avere un’altra opportunità. Se non vuole vedervi, non costringetelo a farlo. Abbiate cura di non identificarlo come alcoolista. Lasciate che sia lui ad arrivare alle sue conclusioni. Non dovrebbe sentirsi spinto o incitato da voi, da sua moglie o dai suoi amici.” Queste indicazioni, date da un alcoolista agli altri alcoolisti, hanno un grande valore anche per i professionisti, che non riescono quasi mai ad esercitare con successo qualsiasi tipo di coercizione. La spinta al recupero per l’alcoolista viene dall’essere “addolorato e stanco di essere addolorato e stanco”, e solo un ascolto empatico, riflessivo e il più possibile libero da giudizio può fare emergere questa consapevolezza.

 

L’invio in AA

 

                Una volta che la persona ha riconosciuto l’alcool come problema ed è consapevole di avere bisogno di aiuto è responsabilità del professionista proporre una lista di possibili soluzioni e lasciare che sia il cliente a scegliere. (Miller & altri, 1992) Per questo è opportuno essere adeguatamente aggiornati rispetto a tutte le realtà territoriali, centri di trattamento, centri di ascolto e assistenza sociale, assistenza medica, gruppi di auto aiuto per alcoolisti e per familiari.

                E’ opportuno fornire indicazioni scritte, con indirizzi, numeri di telefono e orari delle riunioni o delle attività, e pianificare chiaramente con il cliente dove intende andare e quando.

                Se il cliente sceglie di provare una riunione AA, è utile descrivergli che cosa accadrà, come sono strutturate le riunioni, quanto durano e a che cosa servono.(NIAAA, 1992) Il modo migliore per potere fare questo è avere assistito a una o più riunioni AA. Esistono riunioni aperte a tutti, ed è a mio parere essenziale che i professionisti del campo le conoscano e le frequentino. Ciò permette di acquisire familiarità con il percorso di crescita e cambiamento che si sviluppa attraverso i suggerimenti contenuti nei 12 Passi, valutando correttamente le manifestazioni comportamentali, emotive, cognitive e spirituali che il cliente presenta nel corso del suo recupero. Secondo le osservazioni di Miller & Kurtz (1994), AA non è un programma di auto aiuto, ma un programma basato sull’aiuto di Dio. I 12 Passi sono un percorso di crescita individuale che avviene attraverso la frequenza alle riunioni, l’uso di uno sponsor, cioè un membro della fratellanza che sia in recupero da più tempo e svolga il ruolo di guida nel lavoro dei Passi, l’identificazione con altri alcoolisti in recupero, e la pratica quotidiana (Solo Per Oggi) di alcune semplici azioni (non prendere il primo bicchiere nelle prossime 24 ore, chiedere aiuto e accettarlo) e di alcuni principi “spirituali” (onestà, apertura mentale, buona volontà, umiltà, disponibilità, ecc).

                Il terapeuta deve avere familiarità con i principi della sponsorizzazione e con l’uso del telefono come terapia: il cliente dovrebbe chiedere quanti più numeri di telefono possibile alle riunioni AA e usarli ogni volta che ha voglia di bere, ogni volta che qualcosa non va, dopo avere avuto una scivolata (il più presto possibile), quando si sente solo, arrabbiato o stanco, quando si sente soverchiato dai problemi della vita, quando si sente soddisfatto (o compiacente) nei confronti della sua sobrietà.

                La terapia del telefono ha una lunga tradizione in AA. Assieme a “frequentare le riunioni” e “trovare uno sponsor”, usare il telefono è una delle pietre angolari del recupero. E’ utile rassicurare il paziente del fatto che i membri di AA si aspettano di dare i loro numeri di telefono e si aspettano di ricevere chiamate. Spesso non c'è neppure bisogno di spiegare il motivo della chiamata. I clienti dovrebbero essere preparati a sentirsi chiedere il loro numero di telefono.

 

Il ruolo dello psicologo

 

                Il ruolo di uno psicologo o di uno psicoterapeuta in questa situazione può e deve essere di “facilitazione”, cioè principalmente non ostacolare il processo di recupero che si verifica in AA, supervisionando la frequenza ai gruppi nel rispetto dell’anonimato e della riservatezza degli altri membri, occupandosi di pianificare il modo in cui il cliente sceglie di rendersi attivo nella fratellanza, e aiutandolo a risolvere eventuali problemi specifici, dopo che una sobrietà stabile sia stata raggiunta. Il terapeuta non può e non deve sostituire l’aiuto che l’alcoolista può ricevere da un altro alcoolista in recupero, basato sulla condivisione delle esperienze, di ciò che ha funzionato per lui; non può essere uno “sponsor”, ma deve restare professionale nell’approccio ai singoli, problemi, offrendo supporto ai processi decisionali del cliente.

                Attraverso il lavoro dei 12 Passi, gli elementi problematici, irrisolti, conflittuali o difettuali del cliente emergono spontaneamente, ciò su cui è utile lavorare in seduta è la motivazione a continuare il proprio recupero, o a ricominciare dopo una ricaduta, che può verificarsi e, di fatto, si verifica in molti casi.

                Anche dopo periodi di sobrietà più o meno lunghi (alcuni mesi, a volte perfino anni), è possibile osservare i sintomi che precedono una ricaduta. Nel gruppo AA non si viene giudicati, valutati, ammoniti o rimproverati: l’unico requisito per essere membri è il desiderio di smettere di bere. Non ci sono tempi prestabiliti per fare i vari Passi, né per operare determinati cambiamenti nei comportamenti e negli atteggiamenti. Il compito di uno psicoterapeuta che lavora alla facilitazione dei 12 Passi è aiutare il cliente a riconoscere da solo i meccanismi che possono portare alla ricaduta, identificando persone , posti, luoghi, routine, emozioni e comportamenti che causano disequilibrio nella vita dell’alcoolista.

                Quando si presenta il materiale sui Passi, l’atteggiamento terapeutico migliore è essere franchi e non giudicare. Il terapeuta deve credere nel modello dell’alcoolismo come malattia, e che l’alcoolismo è una malattia che colpisce il corpo, la mente e lo spirito. Il terapeuta deve essere preparato al fatto che il paziente farà resistenza a queste idee, come sottolinea chiaramente il “Grande Libro”. I pazienti possono criticare o svalutare AA e i 12 Passi, o possono tentare di trascinare il terapeuta in una discussione per chiarire se l’alcoolismo è realmente una malattia o se è possibile bere in maniera controllata. Possono tentare di modificare lo svolgimento di questo programma, provando ad esempio a trasformarlo in terapia della coppia o in psicoterapia psicodinamica. Si consiglia al terapeuta di non lasciarsi coinvolgere in tali dibattiti, di non reagire alle critiche in modo difensivo, e di non allontanarsi da questo programma. E’ utile tenere a mente i punti seguenti:

·         L’obbiettivo di questo programma è facilitare il coinvolgimento attivo del paziente in AA.

·         Il terapeuta non ha bisogno di difendere AA - funziona molto bene da solo, e continuerà a funzionare indipendentemente dal fatto che questo particolare cliente ci creda o no.

·         Credere nei 12 Passi o in un Potere Superiore può essere meno importante del semplice andare alle riunioni, che dovrebbe essere l’obbiettivo principale.

·         L’alcoolismo è una malattia potente ed astuta, ed è facile che i clienti insistano a fare a modo loro, per il momento.

·         Ogni giorno di sobrietà (e a volte anche ogni ora di sobrietà) è importante e dovrebbe essere riconosciuto. Ogni volta che ci si trova di fronte ad una ricaduta, è meglio pensare a quanti giorni (o ore) di sobrietà il cliente ha trascorso dopo l’ultimo appuntamento.

·         L’alcoolismo è una malattia che colpisce la volontà e porta gli alcoolisti a regredire, diventando sempre più infantili (impulsivi, egocentrici), e con il tempo è sempre più difficile affrontare questi aspetti. Questa è la loro malattia al lavoro. E’ importante separare la malattia dalla persona che ne è colpita.

·         Un paziente che si presenta ubriaco è un paziente che ha bisogno di sostegno sociale. Il terapeuta non può essere una rete di sostegno e neppure uno sponsor. Aiutate il paziente ad usare AA ogni volta che è possibile. Ad esempio, incoraggiatelo ad usare il telefono.

                I terapeuti dovrebbero rendersi conto che, sebbene sia strutturato, questo programma di facilitazione non è inflessibile. Ci si può aspettare che il paziente interpreti i concetti di AA presentati qui alla luce della sua esperienza personale. Questo è coerente con l’approccio AA, che lascia ampio spazio alla interpretazione individuale all’interno di vaste linee guida. Per esempio, i 12 Passi fanno riferimento all’individualità nella concettualizzazione del Potere Superiore (“come noi possiamo concepirLo”). Allo stesso modo, ciò che per un paziente rappresenta l’ingovernabilità (Primo Passo), può non avere alcun significato per un altro. Non è importante che i paziente interpretino questi concetti allo stesso modo; ciò che conta è il risultato finale: l’attivo coinvolgimento nella fratellanza di AA.

                Il terapeuta che lavora alla facilitazione dei 12 Passi ha familiarità con le tradizioni di base di AA e le presenta, assieme a diversi slogan, via via che questi sono appropriati al trattamento. Questi slogan (tempo al tempo, un giorno alla volta, lascia andare, fallo per finta finché non lo fai davvero, ecc.) acquistano maggiore utilità quando vengono messi in relazione alla vita reale del paziente. Un valido terapeuta dei 12 Passi usa gli slogan con giudizio, e dà loro significato mettendoli in relazione all’esperienza individuale del paziente.

                Il terapeuta non dovrebbe avere solo familiarità con gli slogan di AA, ma dovrebbe usarli attivamente in terapia, per favorire il coinvolgimento in AA e aiutare i pazienti a gestire le situazioni difficili. Più il paziente riesce a comprendere il significato di ciascuno slogan, meglio riuscirà ad applicarlo su base quotidiana.

                All’inizio di ogni seduta, nel processo di revisione della settimana precedente, possono venire alla luce aspetti rilevanti della vita del singolo paziente. Ai pazienti dovrebbe essere dato il tempo di strutturare i loro problemi e le loro preoccupazioni e di essere ascoltati dal terapeuta. Allo stesso tempo, è importante tenere a mente che la natura finalizzata di questo programma non permette al terapeuta di “seguire il paziente” completamente - in altre parole, non è possibile creare schemi terapeutici che ignorino i contenuti e gli obbiettivi del programma di facilitazione.

                Alla luce di questo, è responsabilità del terapeuta mantenere le sedute centrate su ciò che ha a che fare con la sobrietà, e di evitare di uscire di strada con lunghe discussioni su altri argomenti (problemi di coppia, di lavoro o genitoriali). In questi casi, i terapeuti dovrebbero ricordarsi lo slogan “Prima Le Cose Più Importanti”: enfatizzate la necessità di centrarsi sulla sobrietà come fondamento per tutti gli altri cambiamenti e per la crescita. I benefici ottenuti con la sobrietà potranno avere effetto su molte altre aree della vita del paziente. Una risposta ai continui sforzi del paziente per spostare la discussione sulle relazioni, sul lavoro o sui problemi familiari, può essere assicurargli l’invio ad una terapia appropriata dopo il completamento del programma di facilitazione dei 12 Passi, qualora questi argomenti continuino ad essere una preoccupazione.

 

Conclusioni

 

                Ritengo che gli psicologi e quanti operano nei servizi pubblici che hanno a che fare con i problemi correlati all’alcool dovrebbero conoscere AA come valida risorsa presente sul territorio. In alcuni casi è stato sufficiente dare al cliente gli indirizzi delle riunioni, in altri può essere necessario un intenso lavoro di sostegno e facilitazione, per permettere al cliente di dare ad AA una possibilità e rimanere sobrio un giorno alla volta.

 

Bibliografia essenziale

 

ALCOHOLICS ANONYMOUS (1976) “The story of how many thousands of men and women have recovered from alcoholism” (The Big Book) AA world Services, New York

ALCOHOLICS ANONYMOUS (1981) “Twelve Steps and Twelve Traditions” AA World Services, New York

ELLIS, A. (1989) “Ragione ed emozione in psicoterapia” Astrolabio

FILIPPIS, G. & FORNESI, C. (1996) “Il Trattamento Terapeutico Arcadia” in “Dipendenze: i confini e l’orizzonte” 2° congresso nazionale SITD, Padova, 26-28/09/96, volume degli abstracts, Knoll S.p.A.

FILIPPIS, G. & FORNESI, C. (1997) “The Arcadia Method” in “Proceedings from the 3rd European Conference on Rehabilitation and Drug Policy - Europe Against Drug Abuse” Oslo, Norway, 01-05/06/97.

MILLER, W.R. & KURTZ, E. (1994) “Modelli di alcoolismo usati in trattamento: confronto tra AA e le altre prospettive con cui viene spesso confusa” Journal of studies on alcohol, 3/94, Trad. It. a cura della Associazione Arcadia

MILLER, W.R. & ROLLNICK, S. (1991) “Motivational Interviewing”, Guilford Press, New York

MILLER, W.R. & altri (1992) “Motivational Enhancement Therapy Manual” DHHS Publication, N° adm 92 - 1894 U.S.  Government, Washington

N.I.A.A.A. (1992) “Twelve Step Facilitation Therapy Manual” DHHS Publication, N° adm 92 - 1894 U.S. Government, Washington

                                                                                                                                                                                (Carlo Fornesi)

 

 

 

 

 

Il trattamento della tossicodipendenza: l'esperienza del CENTRO IMAGO di Torino

 

IMAGO è un centro diurno, non residenziale. Il trattamento proposto rappresenta il risultato di un  riesame critico dell’esperienza professionale maturata in strutture residenziali per tossicomani. L’analisi dei numerosi fallimenti, registrati prevalentemente nella fase di inserimento in comunità e in quella del reinserimento sociale post-comunitario; il cambiamento della popolazione dei tossicodipendenti correlato alle nuove droghe e a quadri psicopatologici sempre più complessi; il confronto con soluzioni terapeutiche diverse, già operanti sul territorio, avevano indotto una serie di considerazioni.

  1. La formula residenziale era apparsa una risposta non adeguata ad alcuni soggetti, i quali per le loro caratteristiche strutturali e/o per le dinamiche del loro sistema familiare, si mostravano incapaci di tollerare un intervento totalizzante.

  2. In alcuni casi era sembrato evidente che, superato il primo momento di contenimento della compulsività, non sarebbe stato necessario sottrarre l’utente per un tempo cosi’ lungo al suo contesto socio lavorativo.

  3.  La mancanza di un supporto simbolico, al termine del programma terapeutico, sembrava far precipitare in una angoscia intollerabile l’individuo rimasto a lungo in una situazione protettiva e rassicurante.

Da qui l’idea di un progetto diurno che tenga conto della necessità del/la ragazzo/a di avere un contenitore i cui confini possano essere ridefiniti, in modo personale e progressivo, attraverso l’evoluzione individuale dalla dipendenza assoluta (anche con il prodotto) fino all’autonomia, ma che nel contempo non isoli da quella realtà da cui la sostanza stessa aveva segnato la fuga.   Il modello perciò si avvale di strumenti tipici della comunità terapeutica, integrandoli però con un lavoro più mirato alla rieducazione socializzante, a partire da e attraverso il contesto sociale, familiare e lavorativo di provenienza, dal quale al soggetto non è richiesto di separarsi, fino a quando non abbia raggiunto un adeguato livello di autonomia interna.   Esso può quindi costituire un’opzione terapeutica per:

-         soggetti le cui caratteristiche personologiche, la cui storia tossicologica, nonché l’ambiente socio-familiare siano tali da consentire un progetto riabilitativo diurno

-         soggetti che non intendono usufruire della comunità terapeutica, pur essendo quest’ultima un’indicazione necessaria al trattamento del problema, e per i quali quindi il diurno sia una fase di passaggio ove si elabori  una motivazione alla cura.

-         soggetti provenienti da esperienze residenziali e che tuttavia necessitino ancora di un contenimento.

                                           IL TRATTAMENTO

La presa in carico dell’utente è preceduta da un momento diagnostico che coinvolge tutte le figure professionali della struttura (psichiatra,psicoterapeuta,pedagogista, educatore): la conclusione della fase di osservazione può condurre a soluzioni diversificate, ove la contrattazione delle regole e del contenimento, nonché le attività psico-socio-terapeutiche possono variare fino alla proposta di un trattamento individuale( 2/3 colloqui settimanali e un colloquio quindicinale con i familiari).   Tutte le formule terapeutiche rispettano i  seguenti criteri :

-         sono strettamente personalizzate

-         sono una miscela di interventi psicopedagogici e psicoterapici

-         sono strutturate

-         prevedono un controllo costante del sintomo, attraverso gli esami medici appositi (urine, capello)

Il percorso ha inizio con la stipulazione di un contratto che contiene le regole di cui l’utente si assume le responsabilità e procede per fasi (contenimento,orientamento,rientro) che lo vedono acquisire gradi di autonomia sempre maggiori. All’interno della struttura si svolgono settimanalmente :                             

-         un gruppo psicopedagogico di verifica (programmazione delle giornate, osservanza delle regole, organizzazione del tempo libero)

-     un gruppo emozionale ad orientamento analitico-transazionale

-         un gruppo di confronto centrato sulle relazioni interpersonali

-         un gruppo psicodinamico tematico, storico e cronologico, sulle relazioni con le figure primarie e coi coetanei

-         un laboratorio di attività ludiche e manuali

-         due colloqui individuali

Per tali attività è richiesta all’utente una frequenza di tre volte alla settimana in orari pre-serali e serali ( lunedì,mercoledì,venerdì  dalle ore18 alle ore 21).   I primi due mesi di programma sono  dedicati all’approfondimento della conoscenza reciproca e ad interventi di tipo comportamentale, volti al ripristino di norme e ritmi quotidiani più appropriati; in   questo periodo il contatto del ragazzo con la famiglia e il rapporto tra quest’ultima e il centro sono pressoché quotidiani.   A partire dal terzo mese, viene elaborato un progetto specifico sulle attività esterne dell’utente.   Si tratta di un lavoro complesso che implica l’indagine delle abilità, degli interessi, dei desideri del  soggetto; l’individuazione delle risorse disponibili sul territorio; la ricerca e la costruzione di una   rete di relazioni che sostenga la persona nella riappropriazione graduale di spazi autogestiti e nel contempo consenta una verifica del procedere dell’esperienza, delle modalità con le quali viene affrontata sul piano comportamentale , e degli stati emotivi che l’accompagnano.   Queste esigenze significano, da un punto di vista operativo, avere delle proposte da suggerire, diversificate per ciascun ragazzo, accompagnarlo in una scelta di investimento alternativa all’oggetto-droga; incontrare le persone che fanno parte dell’ambiente( sia esso scolastico, lavorativo, ricreativo) dell’utente, quindi non più solo i familiari, ma anche gli amici, il datore di lavoro, i nuovi conoscenti, etc.   L’obiettivo di questo lavoro è aiutare il soggetto a reinserirsi in un contesto sociale, e soprattutto a contattare le proprie risorse interiori, il più delle volte sconosciute e soffocate da una personalità come-se.   La fase denominata rientro  rappresenta il momento di sperimentazione della avvenuta interiorizzazione della legge. Decadono gradualmente alcune risorse terapeutiche e il soggetto decide della propria vita in modo sempre più autonomo, pur mantenendo presso il Centro degli ambiti (un gruppo e due colloqui individuali alla settimana) nei quali confrontarsi rispetto alle proprie difficoltà.All’inizio di questa fase è probabile che scelga una soluzione abitativa indipendente; sono previsti in un primo momento degli interventi domiciliari di sostegno psicopedagogico.L’inizio di una psicoterapia diventa un’indicazione preparatoria alla conclusione del  programma.   La famiglia è tenuta,inoltre, a frequentare i gruppi appositi una volta al mese; sono obbligatori gli incontri di terapia familiare, che hanno cadenza quindicinale, almeno nelle prime due fasi.   E’ inoltre richiesto all’utente di stabilire e mantenere dei contatti con il servizio territoriale di provenienza.   La realtà mostra infatti che, allo stato attuale, un percorso terapeutico non è sempre sufficiente ne’ al recupero globale del soggetto, ne’ alla totale remissione del sintomo, ma costituisce una delle tappe necessarie alla soluzione della tossicodipendenza.   Il servizio territoriale svolge, dal nostro punto di vista, l’importante funzione di rappresentare al paziente la continuità della cura, rispetto al quale i diversi e successivi trattamenti assumono il valore di fasi diversificate della terapia, rimandandogli in tal modo un’immagine positiva di sé, salvaguardandolo da vissuti fallimentari, che sovente spingono ad abbandonare qualsiasi tentativo terapeutico.

 

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